Scuola: il governo ha scelto, il precariato si risolve con la selezione naturale

 

Fonte www.usb.it

I test di ammissione ai corsi per il conseguimento della specializzazione sul sostegno sì sono iniziati e si concluderanno nei prossimi giorni: il 29 settembre si svolgeranno quelli per gli insegnanti del primo grado e il 1 ottobre quelli per gli insegnanti del secondo grado.

Ma ci sono insegnanti che, per quanto abbiano i requisiti e abbiano pagato la tassa di iscrizione (in molti atenei si è arrivati anche a 150 euro per grado!), non potranno partecipare alle prove perché si trovano in condizione di isolamento fiduciario forzato o positività al Covid. Per questi colleghi, precari nella quasi totalità dei casi, non è prevista alcuna possibilità di prova suppletiva né di rimborso per le spese sostenute.

Chiediamo ai Ministeri della Scuola e dell’Università e della Ricerca di attivarsi rapidamente per trovare una soluzione a un problema che era ampiamente prevedibile. Sottolineiamo che oltre al danno, c’è la beffa: molti degli aspiranti esclusi perché in quarantena, sono docenti in isolamento a causa di casi emersi nelle loro classi.

Sempre martedì si prevede che venga pubblicato il calendario delle prove del concorso straordinario per l’immissione in ruolo (le indiscrezioni definiscono la data nel 22 ottobre). Il decreto, ideato e pubblicato in piena emergenza durante la scorsa primavera, esplicita che l’assenza per cause di forza maggiore non dà diritto ad alcuna forma di recupero.

Il governo ha deciso di andare avanti e di non riconoscere il lavoro dei docenti precari, negando un concorso per titoli e servizio che, oltre a riconoscere il lavoro e recepire la normativa europea, avrebbe permesso di avere in cattedra dal primo settembre le decine di migliaia di docenti con almeno 3 anni di servizio. Ne avrebbe giovato l’intero sistema scolastico nazionale, in ginocchio a causa di scelte politiche contrarie al corretto funzionamento della scuola pubblica statale. Il governo, che ha soltanto finto di venire incontro alle richieste dei precari, spostando le prove da agosto all’autunno, adesso scarica sui singoli le conseguenze della scelta scellerata di far svolgere un concorso in questo periodo e in queste condizioni.

La beffa è dietro l’angolo: un docente precario impossibilitato a partecipare al primo concorso utile dopo anni per chi sia venuto dopo le stagioni dei TFA e non si sia potuto abilitare, escluso dalla procedura perché in isolamento fiduciario forzato a causa di casi di Covid nella scuola in cui è stato assunto, resterà ancora precario a tempo indefinito.
Sapevamo che la due giorni di sciopero del 24 e del 25 settembre sarebbe stata solo un’ulteriore tappa della lunga lotta per l’assunzione dei precari.

Noi non intendiamo fermarci e stiamo già ragionando su nuove iniziative di mobilitazione. Siamo pronti a un’altra giornata di sciopero, perché la sicurezza nelle scuole, la difesa dei diritti allo studio e al lavoro continuano a essere il faro che guida le nostre azioni.
Chiediamo al governo di bloccare immediatamente le procedure concorsuali, rettificare le neonate GPS, correggendo tutti gli errori presenti, e portare in Parlamento una nuova proposta di legge per il reclutamento dei docenti che risolva, una volta per tutte, il problema del precariato storico.

 




Su quota 100, “Siamo noi la troika non voi”

 

Articolo di Giorgio Cremaschi –

Appena votato il taglio dei parlamentari arrivano subito altri tagli, e non c’è nulla di casuale.

La fine di Quota 100 e il taglio al Reddito di Cittadinanza, annunciati da Conte, sono le prime tra le “riforme” chieste dalla UE in cambio del Recovery Fund. La fine di Quota 100 e il taglio al Reddito di Cittadinanza, annunciati da Conte, sono le prime tra le “riforme” chieste dalla UE in cambio del Recovery Fund.

Ne arriveranno altre esattamente come pretendeva il premier olandese Rutte, allora con finta indignazione di governanti e mass media.

Dobbiamo mostrarci virtuosi a chi generosamente ci presta o addirittura ci regala soldi. Così, prima ancora di ricevere, e chissà quando e cosa riceveremo davvero, cominciamo a pagare.

Un Parlamento più piccolo è il segno che non perdiamo troppo tempo con la democrazia, quando bisogna essere più efficienti. E poi, basta un click, come dice Grillo….

Il ritorno a pieno regime della Legge Fornero dimostra che siamo disposti a lavorare fino a settant’anni, se naturalmente troviamo il lavoro, magari rubandolo ai giovani. I quali a loro volta la devono smettere di pretendere salari dignitosi stando sul divano, come ha lamentato Bonaccini.

Per questo bisogna tagliare il reddito, cinquecento euro al mese sono troppi soldi dati troppo facilmente, poi chi ci va a lavorare dieci ore per tre euro all’ora? I migranti schiavizzati dai decreti e dalle leggi di tutti i governi?

E poi perché fare scandalo se al presidente dell’INPS viene adeguata la retribuzione agli standard manageriali italiani ed europei, mica si tratta di infermieri, insegnanti, operai. Le loro retribuzioni resteranno le più basse del continente per garantire produttività e rigore, come rivendica Bonomi di Confindustria.

A luglio Conte aveva fermamente risposto a Rutte che il capo del governo d’Olanda non era la Troika. Voleva dire in realtà: la Troika siamo noi.




Confindustria punta alla Cassa

 

Fonte www.coniarerivolta.org

Ed eccoci all’ennesima puntata della crociata contro il mondo del lavoro. Se qualche giorno fa le bellicose intenzioni contro i lavoratori erano emerse dalle parole del Presidente di Confindustria Carlo Bonomi, ora è il turno del Ministro Gualtieri che ci mostra la posizione di questo Governo riguardo al mercato del lavoro e agli ammortizzatori sociali.

La sostanza del discorso di Bonomi era, nella sua semplicità, una vera e propria dichiarazione di guerra, riassumibile pressappoco così: gli ammortizzatori sociali, ossia tutto quell’insieme di misure di sostegno al reddito per coloro che si trovano in una condizione di disoccupazione, sono ancora troppo legati all’idea della conservazione del posto di lavoro. Occorrerebbe quindi passare a un sistema che abbia l’obiettivo di permettere all’azienda di sbarazzarsi con maggiore facilità dei lavoratori ritenuti non più necessari. Il lavoratore che perda il lavoro, dunque, nella proposta di Confindustria, dovrà rimettersi sul mercato del lavoro e, magari, formarsi per ridiventare utile al sistema produttivo.

Proprio a questa filosofia sembra ispirarsi il Ministro dell’Economia Gualtieri nelle sue recenti dichiarazioni. Ma per capirne il significato riavvolgiamo il nastro e partiamo dalla realtà attuale degli ammortizzatori sociali in Italia. Durante il lockdown, con il ‘decreto Cura Italia’ e il ‘decreto Rilancio’, il Governo aveva esteso sostanzialmente a tutte le aziende la possibilità di far ricorso ai trattamenti di integrazione salariale, la cosiddetta cassa integrazione normalmente limitata a determinati settori produttivi e ad aziende con più di 15 dipendenti. Ricordiamo che la cassa integrazione è quell’istituto consistente in un’erogazione di denaro da parte dell’INPS in caso di crisi aziendali sostitutiva dello stipendio, e che consente di mantenere il posto di lavoro fino a ripresa ordinaria dell’attività produttiva. Accanto all’estensione della cassa integrazione, era stato poi introdotto il blocco dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. In questo modo si perveniva a una sorta di accordo: non licenziate i lavoratori e il Governo vi sosterrà aiutandovi a pagare gli stipendi.

Con il recente ‘decreto agosto’, però, le cose cambiano profondamente. Da un lato, la scadenza del divieto di procedere al licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo viene resa, in un certo senso, mobile. Con il ‘decreto Rilancio’ di maggio, infatti, il divieto di licenziamento era valido fino alla data del 17 agosto 2020. Con il nuovo decreto, invece, viene stabilita la regola che sarà impossibile procedere a questo tipo di licenziamento fino all’esaurimento delle diciotto settimane di cassa integrazione previste dalla legislazione vigente. Ciò implica che nel mese di novembre 2020 il divieto di licenziamento comunque cesserà definitivamente per tutte le imprese.

Nel decreto di agosto viene introdotta, inoltre, una clausola per la quale le aziende che vorranno accedere alla cassa integrazione (per un periodo ulteriore rispetto alle prime nove settimane) dovranno pagare una contribuzione aggiuntiva. Tale contribuzione sarà pari al 9% della retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, per quelle aziende che abbiano fatto registrare riduzioni di fatturato, nel periodo gennaio-giugno 2020 rispetto allo stesso semestre del 2019, inferiori al 20%. Per le aziende che, invece, non hanno subito alcuna riduzione di fatturato, la contribuzione aggiuntiva è pari al 18%.

A questo punto ci si potrebbe interrogare sul perché di questi paletti alla cassa integrazione. Trovare una risposta, purtroppo, è facile: senza denari non si cantano messe. E, a dispetto delle fanfare con cui sono stati accolti gli strumenti europei del Recovery Fund e del SURE, il prestito destinato proprio a finanziare la cassa integrazione, è evidente che questi ultimi costituiscono strumenti del tutto insufficienti a sostenere le economie dei Paesi così profondamente colpiti dalle conseguenze della pandemia. Insufficienti e legati a pesanti condizionalità riassumibili con la solita solfa: austerità e riforme a favore del capitale. Ed ecco che per finanziare gli interventi di integrazione salariale è necessario trovare risorse aggiuntive.

Ma questa novità ha dato una bella idea all’attuale compagine di Governo: perché non sfruttare l’occasione per rendere sistematica la contribuzione aggiuntiva per poter usufruire della cassa integrazione? E allora ecco la proposta di Gualtieri: “stop alla cassa integrazione generalizzata e gratuita per tutti come durante il lockdown”. Dal 2021 si paga. E, per quel che riguarda una più generalizzata riforma degli ammortizzatori sociali, l’obiettivo è quello di investire sulle “deficitarie politiche attive del lavoro”.

In altri termini, dopo aver messo sostanzialmente la parola fine sul blocco dei licenziamenti con il ‘decreto agosto’, Gualtieri si impegna a realizzare la seconda parte della lista dei desideri di Confindustria: disincentivo a utilizzare la cassa integrazione e maggiori risorse dedicate alle politiche attive. Se è vero che il disincentivo all’uso della cassa integrazione sarebbe legato a un contributo a carico delle imprese, e questo in qualche modo sposterebbe in piccola parte l’onere dell’istituto dalla collettività al capitale, allo stesso tempo è evidente che le imprese non avendo alcun obbligo di far ricorso alla cassa integrazione in caso di crisi aziendale e potendo ricorrere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sarebbero incentivate a sbarazzarsi della forza lavoro in eccedenza puntando poi, nella fasi di ripresa, a riassunzioni molto convenienti di altri lavoratori formati a spese della collettività tramite le promesse politiche attive del lavoro.

A differenza della cassa integrazione, queste politiche non comportano la continuità del rapporto di lavoro e, anzi, servono a fornire ai lavoratori una formazione in funzione delle necessità delle imprese senza alcuna garanzia occupazionale, lasciando così all’impresa un enorme margine di flessibilità nella determinazione dei livelli occupazionali di periodo in periodo.

E così, mentre si piccona, pietra dopo pietra, il sistema degli ammortizzatori sociali disincentivandone l’uso e favorendo di fatto il ricorso ai licenziamenti, ci si lega a un futuro di ulteriore austerità e di maggiore precarietà del posto di lavoro. Il tutto con l’obiettivo di rendere i lavoratori sempre più ricattabili e scaricare su di loro il peso dell’incertezza derivante dalle conseguenze della crisi economica in atto.

 

 




La mega-pagliacciata del “Salvini a processo”

Articolo di Dante Barontini (www.contropiano.org)

Un povero cittadino, già di suo preoccupato di non perdere il lavoro o di vedere i figli che finalmente ne trovano uno decente (di “lavoretti” ne hanno pieni i cabbasisi), avrebbe dovuto commuoversi per la telenovela Salvini?

Nonostante la grande collaborazione dei media – soprattutto di quelli che si dicono (dicono soltanto…) – anti-salviniani, pare proprio di no.

La sceneggiata è stata disgustosa dall’inizio (il blocco della nave Gregoretti in mare) fino alla fine (i leghisti che escono dall’aula a momento del voto, dopo che “il Truce” aveva giurato che li avrebbe fatti votare a favore dell’autorizzazione a procedere).

Diciamolo subito chiaro: fanno schifo tutti.

Tutti infatti sapevano – o avevano ampia facoltà di sapere – che questo voto pro o contro il “mandare Salvini a giudizio” era fuffa completa.

La richiesta di autorizzazione per l’autorizzazione a procedere contro un (ex) ministro per reati commessi nell’esercizio della sua funzione è infatti arrivata dalla Procura di Catania, cui torneranno ora “gli atti”.

In teoria, secondo una sentenza della Corte Costituzionale, l’iter dovrebbe essere quello normale per qualunque altro cittadino: «secondo le forme ordinarie, vale a dire per impulso del pubblico ministero e davanti agli ordinari organi giudicanti competenti».

Ma in pratica non è neanche chiaro quale ufficio del tribunale dovrà occuparsene. L’iter normale prevederebbe infatti che a istruire il processo fosse lo stesso collegio che ha richiesto l’autorizzazione a procedere. Ma il procuratore capo Carmelo Zuccaro, secondo autorevoli cronisti ben introdotti nei labirinti giudiziari, starebbe pensando di mandarlo invece davanti a un Gup (giudice dell’udienza preliminare).

In ogni caso, quello stesso procuratore aveva già espresso il suo parere sulla vicenda della nave Gregoretti, richiedendo l’archiviazione dell’indagine perché non ci sarebbe stato alcun reato. Secondo quell’ufficio, infatti, il periodo di blocco in mare (quattro giorni) non sarebbe stato “congruo” per giustificare il reato di sequestro di persona. E già qui ci sarebbe da ridere: se sequestriamo qualcuno per 24 ore allora non c’è reato? Oppure non c’è solo se lo fa – lo ordina – un ministro?

Il procuratore Zuccaro, del resto, è anche quello diventato popolarissimo – a destra – per aver sostenuto qualche tempo fa una tesi piuttosto hard: “A mio avviso alcune Ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti, e so di contatti, un giro di soldi, quello dell’immigrazione che parte dalla Libia che sta fruttando quanto quello della droga”.

Un procuratore non è però un opinionista, ha il potere di muovere la polizia giudiziaria per raccogliere prove di quel che dice. Ma non cercò o trovò nulla.

Al contrario, abbiamo saputo poi, era il governo italiano ad aver stretto accordi con il capo dei trafficanti, che guarda caso era ed è ancora il comandante della cosiddeta “guardia costiera libica” (lato Tripoli, cioè Al Serraj). Ossia con quel tal “Bija” ricercato dall’Onu ma che veniva accolto come un ospite gradito in sedi ministeriali e basi militari italiane in Italia.

A rigor di logica, insomma, la procura di Catania avrebbe dovuto aprire indagini contro i ministri che avevano firmato quegli accordi con quella fazione libica: ossia prima Marco Minniti (Pd) e poi Matteo Salvini (Lega). Naturalmente non è stato fatto nulla.

A contestare al “Truce” il sequestro di persona per la nave Gregoretti – una nave militare italiana, non un “vascello nemico” – era stato infatti un altro magistrato, della procura di Caltanissetta, la cui indagine era poi stata assunta “per competenza territoriale” dalla sede di Catania.

Tutta questa ricostruzione serve a chiarire un fatto semplice e noto a tutti gli “addetti ai lavori”: Salvini non “rischia” niente da questa inchiesta. “L’accusatore” ha già chiesto il proscioglimento e in ogni caso aveva – incautamente, per un giudice – espresso le stesse convinzioni (infondate) del poi ministro dell’interno.

Però tutta la popolazione di questo disgraziato Paese è stata intrattenuta per mesi su una telenovela priva di sostanza.

P.s. Nonostante questo, “il Truce” ha pensato bene di non mantenere la sua stessa promessa. Invece di farli votare a favore dell’autorizzazione a procedere, ha spinto i suoi senatori a uscire dall’aula (non potevano neanche astenersi, perché al Senato, per regolamento, l’astensione vale come voto contrario; in questo caso all’”ordine del giorno Gasparri” che consigliava di rigettare l’autorizzazione a procedere).

Questo è il rapporto di Salvini con le sue stesse promesse. Come dicono negli Usa: “acquistereste da quest’uomo un’auto usata?”. E se non comprereste da lui neanche una vecchia auto, come potete pensare di dargli un qualsiasi potere? E a chi dice di “avversarlo”: non vi vergognate di utilizzare un tizio del genere presentandolo come un “grandissimo pericolo”?




Le Sardine in visita dai Benetton, quelli di Autostrade e Ponte Morandi

di Federico Rucco

Una visita inopportuna ma niente affatto sorprendente quella di ieri pomeriggio dei quattro fondatori delle Sardine che ha portato alla vittoria Stefano Bonaccini al tempio dei Benetton. Infatti sono stati ospiti di Fabrica, la fucina creativa del gruppo Benetton.
Mattia Santori, Roberto Morotti, Giulia Trappoloni e Andrea Garreffa sono stati invitati nella grande tenuta di Castrette dal direttore di Fabrica Oliviero Toscani per incontrare i giovani che collaborano con il centro culturale della famiglia Benetton.
Ma con loro non c’era solo il “creativo” Toscani, c’era anche il fondatore, Luciano Benetton, per la cui compagnia i leader della Sardine non hanno provato alcun imbarazzo o vergogna. Eppure i Benetton e il loro ruolo sull’appropriazione e mala gestione delle autostrade – fino alla strage per il crollo del Ponte Morandi, e senza neppure star qui a ricordare la feroce repressione dei Mapuche sulle loro tenute in Patagonia – non sono certo un dettaglio che ragazzi informati come i quattro inventori delle Sardine possano ignorare.
E’ ben evidente come le forze che si oppongono alla revoca delle concessioni ai privati delle autostrade non siano solo al governo e in Parlamento, sono anche alla testa delle manifestazioni come quelle delle Sardine.
Il mondo del business, anche quello “creativo”, ma con il pelo sul cuore, non mette i leader delle Sardine a disagio, al contrario.
Quando si diceva che Bonaccini e Salvini sono due facce della stessa medaglia non si è fatta una forzatura, si è solo affermata una verità.

* Per chi proprio non ci volesse credere, basta leggere il Corriere…




Tre persone come sei milioni. Se questa è umanità…

Articolo di Giorgo Cremaschi su contropiano.org

Il rapporto OXFAM sulla ricchezza conferma con la brutalità dei numeri ciò che noi viviamo nella brutalità della vita: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri siano sempre più poveri.

La novità è che questa volta l’organizzazione che documenta ricchezza e povertà nel mondo, oltre al solito quadro globale ci ha fornito quello dell’Italia. E come accade sempre, quello che accade nel mondo diventa più sconvolgente se ti capita in casa.

 

Qui in Italia l’1% più ricco possiede lo stesso patrimonio del 70% della restante popolazione. Per capirci 600.000 persone hanno soldi e beni come 42 milioni di persone.

Ma il dato ancora più sconvolgente è che i tre uomini più ricchi d’Italia hanno una ricchezza pari a tutto ciò che possono mettere assieme i sei milioni più poveri. Per capirci i signori Del Vecchio, Ferrero e Armani, che secondo in dati Forbes del 2019 sono i primi miliardari del nostro paese, con un patrimonio che in tre fa oltre 55 miliardi, valgono ognuno come due milioni di cittadini più poveri.

Può un solo essere umano valere in ricchezza materiale come due milioni di suoi simili? No. Non c’è abilità, capacità, successo che possa far sembrare giusta questa distribuzione così iniqua della ricchezza. Questo non è merito, questa è ingiustizia sociale estrema. E non è solo una questione di soldi, ma di potere e dignità. Quando milioni di persone pesano come pochi privilegiati, allora è la selezione e lo scarto delle vite che prevale, è la stesso valore complessivo del genere umano che viene messo in discussione.

Ce l’ho coi tre ricconi? Ma no, so che anche essi in fondo sono prodotti del sistema, anche se con Balzac tendo a credere che nessuna grande ricchezza sia innocente. Però è il sistema che ha prodotto questa deformazione mostruosa della umanità. È il capitalismo questo sistema, i cui effetti nefasti in parte eravamo riusciti a mitigare. mentre ora si scatenano di nuovo, con la dittatura dei mercati ed il liberismo, che hanno soggiogato la politica.

Redistribuire la ricchezza, portare via un poco di soldi ai signori Del Vecchio, Ferrero, Armani e compagnia per pagare case, scuole, ospedali, servizi sociali non è solo un atto di giustizia economica, ma il primo passo per ribaltare un sistema di svalutazione del genere umano che non può più essere accettato senza degradare moralmente.

Il ritorno del fascismo e del razzismo non viene dai social, ma da una distribuzione della ricchezza che ci ha riportato indietro di più di un secolo e che con la sua ferocia sociale alimenta la ferocia dei sentimenti. Non c’é democrazia in un paese dove una sola persona vale come due milioni. Per questo l’odio per il capitalismo è una sano sentimento democratico.

 




Scuole di serie A e di serie B. “Non fate gli ipocriti, è esattamente quello che volevate”

Articolo di Giorgo Cremaschi su contropiano.org

Ora si fa scandalo perché una scuola superiore di Roma si fa pubblicità vantando che nelle sue sedi i poveri studiano coi poveri ed i ricchi coi ricchi. È la terza volta che questa pubblicità progresso va sui giornali, prima un liceo di Brescia ed un altro di Roma avevano chiesto iscrizioni perché da loro ci sono figli di classi agiate e non di migranti. Magari ce ne sono stati altri di questi annunci in vista dell’open day, quando una scuola si mette in mostra sul mercato dell’istruzione.

È una vergogna, ma le reazioni istituzionali e di palazzo ad essa sono pura ipocrisia. I presidi zelanti che sul web vendono la loro scuola con linguaggio banale e feroce sono il prodotto di 23 anni di controriforma della scuola, dal varo dell’autonomia scolastica alla buona scuola.

Le scuole sono state messe in competizione sul mercato come le imprese e i presidi sono diventati come manager, padroni. Le famiglie sono clienti ed i figli prodotti. E allora è conseguente che il peggio della competitività sociale, fino al razzismo, divenga propaganda per affermare il valore di un istituto rispetto ad un altro. Andate coi ricchi, magari imparate come si fa.

È l’autonomia scolastica che fa parlare le scuole come i decreti sicurezza di Salvini. E ora non contenti di aver distrutto la scuola, Lega e PD vogliono applicare lo stesso modello a tutto il paese con l’autonomia differenziata.

Venite a pagare le tasse in Emilia, o in Lombardia qui si sta meglio e chi è povero o sta al posto suo o lo mandiamo via. Questo diranno i presidenti manager delle regioni ricche tra qualche anno, se oggi passa l’autonomia. Dopo le scuole azienda avremo le regioni azienda in competizione selvaggia tra loro.

Non ci credete? Confrontate cosa dicevano venti anni fa i sostenitori dell’autonomia scolastica con la propaganda web attuale delle scuole.

Non fate scandalo, non fate gli ipocriti. Voi, “politici” di centrodestrasinistra. Se chiamate autonomia scolastica e differenziata ciò che in realtà è l’introduzione dei più perversi meccanismi di mercato nel sistema pubblico e nel paese nel suo insieme, non stupitevi poi se c’è chi vi prende sul serio.

Questo schifo è roba vostra e siete tutti colpevoli anche perché volete continuare come e peggio di prima.